Monsignor Rigon:"L'omosessualità? Un male da guarire"

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Titti-79
00venerdì 25 febbraio 2011 20:59
Monsignor Rigon, vicario del Tribunale ecclesiastico: «Ma se è incancrenita purtroppo non si può superare»

GENOVA:
«Il nostro intento è quello di far passare un messaggio: il problema dell’omosessualità è indotto perché non si nasce omosessuali, salvo rarissimi casi di gravi disturbi ormonali. Bisogna dunque prenderla dall’inizio e allora si può superare con la psicoterapia. Ma se l’omosessualità è incancrenita è molto più difficile. Non c’è matrimonio che possa aiutare questa persona. Deve essere affrontata nella prima adolescenza, ne sanno qualcosa i nostri consultori».

Così monsignor Paolo Rigon, vicario giudiziale presso il Tribunale ecclesiastico della Liguria, ha spiegato nel dettaglio quanto appena sostenuto nella sua relazione alla cerimonia di apertura dell’anno giudiziario, presente il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei. Affrontando il tema dell’incapacità a essere fedeli come causa di nullità del sacramento del matrimonio, monsignor Rigon ha detto: «Il caso drammatico è quello dell’omosessualità che qualcuno spera di vincere o di mascherare appunto con il matrimonio, ma è un’illusione, non sarà possibile, in concreto, restare fedeli al coniuge».

Che cosa può fare allora un omosessuale? «Prendere coscienza della propria situazione e gestirla, ma non in senso sessuale, bensì impostando una vita gioiosa in modo donativo, senza coinvolgere un altro». Non è possibile la fedeltà tra due uomini? «In teoria tutto è possibile, in pratica sappiamo che non è così».

La giustizia ecclesiastica distingue tra due tipo di infedeltà, «l’atto positivo di volontà» e «una patologia». «Se il comportamento di un coniuge fedifrago è macroscopico - dice monsignor Rigon nella relazione che di anno in anno affronta uno dei motivi di nullità - c’è da pensare che vi sia qualche problema a livello psicologico o neurologico o psichiatrico, da valutare con una perizia».
I semi dell’infedeltà, secondo il vicario giudiziale, vengono gettati molto presto dalla pornografia: «La pornografia dilagante e invadente presenta la vita sessuale, tra l’altro in qualunque forma e manifestazione, come fine a se stessa, del tutto separata dall’affettività, ossia per puro piacere e divertimento». Altro aspetto di questo problema è appunto «quello della tendenza o del “genere”, di cui oggi si parla molto, in forza del quale si può anche giungere a scegliere come si vuol vivere la propria sessualità se in modo eterosessuale o in modo omosessuale o in alternativa o in simultanea».

Al di là della relazione ufficiale, il prelato è ancora più esplicito: «Nella ricerca del piacere sessuale fine a se stesso tutto va bene e si finisce con le ammucchiate e gli scambi di coppia che, come stiamo osservando, sono molto frequenti».

Invece la fedeltà è un valore assoluto. «Bisogna recuperare la categoria della fedeltà - è l’esortazione del presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco - anche sul piano della vita in generale, del lavoro, come la categoria che realmente consente nella ripetizione motivata dei propri doveri la costruzione dell’uomo. Anche in politica». Oggi «la fedeltà è una categoria come ben noto un po’ fuori moda dal punto di vista culturale, perché sembra sinonimo di noia, di prigione della libertà».

«Il contesto culturale che respiriamo pone al centro l’individuo, con le sue esigenze, con le sue emozioni, con i suoi desideri - conclude il cardinale - che sembrano essere diventati sempre più il criterio di giudizio per la vita concreta sia dell’individuo che della società che ne consegue, anziché mettere al centro la persona, con i suoi impegni verso le scelte assunte, nella sua dimensione essenziale costitutiva di relazionalità, non di auto referenzialità».
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