La Corte di Cassazione ha recentemente annullato senza rinvio la condanna a 8 mesi di reclusione nei confronti di un uomo che maltrattava la moglie.
“Il fatto non sussiste” decreta la Corte di Milano.
E non perché la donna si sia inventata tutto ma perché, al contrario e per usare le parole dei giudici, apparendo “esasperata, molto carica emotivamente, scossa e per nulla intimorita” non si poteva dimostrare che fosse vittima di una condotta violenta, ovvero “lesiva della propria integrità fisica e morale”.
Come se la beffa non fosse già abbastanza chiara, si aggiunge anche che “alcuni limitati episodi di ingiurie, minacce e percosse nell’arco di circa 3 anni” non sono sufficienti a definire come “abituale” l’atteggiamento violento del marito.
In altre parole, sembra dire la legge, se non tremi come una foglia al solo suono della voce del tuo aggressore e se vieni malmenato e offeso ogni tanto, anche se “ogni tanto” significa per 3 anni, non puoi essere considerato vittima di una violenza.
Può anche darsi che gli archivi storici conservino memorie di numerosi processi dei primi del secolo scorso, in cui imputata una donna subiva la stessa sorte.
Ma siccome, dal Medioevo a oggi, abbiamo lottato affinché la legge sia uguale per tutti, una sentenza del genere dovrebbe lasciarci se non altro un po’ perplessi.
Da quando in qua un’azione si giudica in base alla reazione?
Da quando l’effetto dà il significato a una causa?
E cosa succederebbe se dal caso particolare generalizzassimo?
Succederebbe che, per chiunque, una violenza verrebbe interpretata come tale solo in base alla paura che questa scaturisce nella vittima, al di là dei lividi.
E una minaccia sarebbe considerata “lesiva” solo se il minacciato ne subisse il peso della paura.
Dunque qualcuno che denuncia il proprio molestatore troverebbe giustizia solo se dimostrasse di essere terrorizzato; una vittima di estorsione non dovrebbe solo mostrare di essere esasperato, ma dovrebbe anche apparire intimorito come un coniglio in un angolo; e chiunque si dimostri forte e denunciasse un’aggressione sbaglierebbe a confidare nella legge.
In base a questa logica, allora, ledere l’integrità morale non significa più portare qualcuno sull’orlo dell’esasperazione, appiattirgli l’autostima, vessarlo e offenderlo, perché non basta.
Perché ci sia violenza occorre schiacciarlo al punto che questi non abbia più occasione di alzare la testa, ribellarsi e, colmo dei colmi, probabilmente nemmeno la forza per denunciare.
In base a questa logica solo l’intimorito è una vittima.
Sarebbe davvero interessante sentire cosa, questa Corte di Milano, pensa di una persona come Saviano che tutto mostra fuorché paura.
Non è una vittima?
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Titti.